In un’epoca in cui il confine tra umano e artificiale si fa sempre più sfumato, il Ritiro filosofico “L’Umano ai tempi dell’IA” si è rivelato un momento di rara profondità. Organizzato da Ritiri Filosofici e tenutosi nella suggestiva cornice del Parco dei Monti Sibillini, l’evento ha rappresentato un’occasione unica per riflettere sull’identità Umana nell’era digitale, tra etica, filosofia e… diritto.
Siamo fieri che lo Studio Legale Morbinati & Longo, da sempre attento alle trasformazioni del tessuto sociale e normativo, abbia partecipato anche in qualità di sponsor. Una scelta con cui abbiamo voluto lanciare un segnale preciso: il mondo giuridico non può più permettersi di osservare da lontano l’evoluzione dell’intelligenza artificiale. Deve, al contrario, interrogarsi sul proprio ruolo, sulla sua capacità di governare le nuove sfide poste da un’intelligenza non umana ma sempre più autonoma. O per dirla con Yuval Noah Harari, un’ “intelligenza aliena”, nel vero senso di “altro dall’Umano”.
Filosofia, IA e la crisi dell’umano
Tra i temi affrontati durante il Ritiro, centrale è stato il rapporto tra l’identità personale e l’automazione cognitiva. Che cos’è l’umano, oggi, quando gli algoritmi sono capaci di apprendere, decidere, produrre contenuti e — in alcuni casi — sostituire l’intuizione umana? Le riflessioni hanno coinvolto filosofi, ricercatori e studiosi del pensiero critico, restituendo un’immagine complessa di un’umanità in bilico.
Non si è parlato soltanto di tecnologia, ma anche di tre aspetti che determinano la condizione Umana: empatia, autonomia e vulnerabilità. Tre dimensioni affrontate con l’aiuto del gruppo coordinato dalla prof.ssa Stefania Achella (prof.ssa Anna Donise, dalla prof.ssa Marilena Anzalone e dal prof. Francesco Terenzio), che conducono un progetto di ricerca proprio su questi temi (potete approfondire le loro argomentazioni sul sito di Ritiri Filosofici). Non sono mancate riflessioni sul tema della Decisione, forse il più importante terreno di confronto operativo tra l’Umano e la Macchina.
La questione giuridica: soggettività e responsabilità nell’era dell’IA
Dal punto di vista giuridico, l’IA rappresenta una sfida sistemica. Il diritto moderno si fonda sull’assunto di una soggettività responsabile: l’individuo, in quanto persona giuridica, è titolare di diritti e portatore di responsabilità. Ma come trattare entità autonome che non sono né umane né persone giuridiche nel senso classico?
Il legislatore europeo ha cominciato ad affrontare il tema con il Regolamento sull’IA (IA Act), che classifica i sistemi intelligenti secondo livelli di rischio. Ma la questione fondamentale resta aperta: chi risponde di una decisione presa da un algoritmo autonomo? Il produttore? L’utente? Il programmatore?
In assenza di una personalità giuridica dell’IA (tema ancora aperto), la responsabilità viene oggi tracciata lungo la filiera tecnologica, seguendo il principio della “catena del valore”. Ma questa logica funziona solo finché gli algoritmi hanno valenza strumentale. Quando invece diventano generativa — come nei sistemi di machine learning avanzato — si entra in una zona grigia, dove il principio di prevedibilità del diritto comincia a vacillare.
L’umano come orizzonte normativo
Il Ritiro ha suggerito, tra le righe, un’altra lettura: non è solo il diritto che deve adattarsi alla tecnica, ma è la tecnica che deve ritrovare una misura umana. Non basta regolamentare l’IA: bisogna interrogarsi su quale modello di umanità vogliamo tutelare.
In questo senso, il contributo del Legislatore non è solo tecnico, ma profondamente culturale. In un tempo manifesta tutta la sua reattività — sempre un passo indietro rispetto all’innovazione — è fondamentale che le professioni giuridiche assumano un ruolo proattivo, partecipando al dibattito etico, filosofico e sociale. Perché la regolazione dell’IA non è solo una questione normativa: è una scelta di civiltà.
Verso un nuovo umanesimo giuridico
La sfida, oggi, è quella di costruire un umanesimo giuridico capace di dialogare con la complessità dell’intelligenza artificiale. Un approccio che non si limiti a porre divieti, ma che sappia anche valorizzare le potenzialità positive della tecnologia, senza rinunciare ai principi fondanti dell’ordinamento democratico: dignità, libertà, responsabilità.
In quest’ottica, il diritto deve tornare a essere costruttore di senso, e non mero apparato regolativo. Deve farsi strumento di mediazione tra ciò che possiamo fare e ciò che dovremmo fare.
Il Ritiro Filosofico “L’Umano ai tempi dell’IA” ha tracciato una direzione chiara: non si può parlare di futuro dell’intelligenza artificiale senza parlare di Umano, e non si può parlare di Umano senza interrogarci sul Diritto che lo tutela.
Una sfida che riguarda tutti, ma che chiama in prima linea proprio i giuristi (avvocati, giudici, ecc.). Perché, come ci ricorda la migliore tradizione del pensiero occidentale, il Diritto è — prima di tutto — un esercizio di cura.